Cervelletto
nella malattia di Parkinson
GIOVANNI ROSSI
NOTE E
NOTIZIE - Anno XXII – 22 febbraio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
Lo scorso anno è stato ricco
di scoperte sulla neurofisiologia cerebellare e noi abbiamo recensito molti
studi di grande interesse, fornendo materiale didattico sull’argomento, che è
stato molto apprezzato. Ora ritorniamo a occuparci del cervelletto per un ruolo
neuropatologico, la cui conoscenza potrebbe rivelarsi di prezioso ausilio in
neurologia: il precoce interessamento cerebellare nella malattia di Parkinson.
Sappiamo che il nucleo
patogenetico e fisiopatologico su cui si sono concentrati gli studi sulla
malattia di Parkinson è rappresentato dalla degenerazione dei neuroni
dopaminergici della pars compacta della
substantia nigra mesencefalica, con conseguente perdita delle sinapsi che i
loro assoni formano nello striato e della dopamina fisiologicamente rilasciata
nello striato[1].
Quando emergono sintomi caratterizzanti, come il tremore a riposo, si è già
persa la metà delle cellule dopaminergiche della parte compatta della sostanza
nera e tre quarti della dopamina striatale, per questo da decenni si cercano
segni che aiutino a formulare una diagnosi precoce. A questo scopo si sono
identificati vari biomarker che possono essere ricercati nel ragionevole
sospetto, formulato in base a familiarità e altri “fattori di rischio”, ma la
ricerca continua a esplorare la possibilità che aree dell’encefalo che
rimangono clinicamente silenti siano interessate precocemente da processi connessi
alla patogenesi parkinsoniana e, anche se classicamente non esplorate durante
il processo diagnostico, potrebbero evidenziare segni prima di tutti gli altri marker
finora adottati.
Evidenze neuropatologiche e
neurofisiologiche, in vari studi recenti, indicano la possibilità della
partecipazione del cervelletto alla malattia descritta da James Parkinson. Su
questa base Yini Chen e colleghi hanno analizzato la
possibilità che la radiomica, basata sulla metodica della risonanza magnetica
nucleare (MRI, magnetic resonance
imaging) applicata al cervelletto, consenta la distinzione tra pazienti
ammalati della seconda malattia neurodegenerativa per frequenza e persone
volontarie sane.
I risultati dello studio
sono significativi e degni di nota.
(Chen
Y. et al., Radiomics-based Modelling Unveils Cerebellar Involvement in
Parkinson’s Disease. Cerebellum 24 (2): 48, Feb 18, 2025 – Epub ahead of print doi: 10.1007/s12311-025-01797-z, 2025).
La
provenienza degli autori è
la seguente: Key Laboratory of Liaoning Province for
Research on the Pathogenic Mechanisms of Neurological Diseases, the First
Affiliated Hospital, Dalian Medical University, Dalian (Cina); Department of
Neurology, Department of Radiology, the First Affiliated Hospital, Dalian
Medical University, Dalian (Cina); Department of Neurology, the Second
Affiliated Hospital, Dalian Medical University, Dalian (Cina); Shanghai
University of Medicine and Health Sciences Affiliated Zhoupu
Hospital, Shanghai (Cina).
Proponiamo un’introduzione sul cervelletto per i
lettori non specialisti, andando cronologicamente a ritroso nel citare alcuni
fra i principali studi dello scorso anno. Nel mese di ottobre 2024 abbiamo
proposto uno studio che dimostrava una funzione cerebellare analoga a quella
tipica del lobo temporale mediale; due settimane prima abbiamo presentato un
atlante del cervelletto umano secondo un nuovo modello funzionale che realizza
una mappatura di precisione integrando le nuove acquisizioni[2]; solo due
settimane prima avevamo recensito lo studio che riporta la scoperta di un ruolo
del cervelletto nella regolazione della sete[3]. Ecco cosa
abbiamo riportato il 5 ottobre 2024 a proposito di questi continui
aggiornamenti:
“Introducendo la recensione
di uno studio sul cervelletto[4], il 22 giugno abbiamo così sintetizzato le tappe principali del nostro
impegno recente nel seguire la ricerca sulla neurofisiologia di questa parte
dell’encefalo:
I continui
progressi nelle conoscenze sul cervelletto richiedono la nostra
attenzione costante come recensori: a maggio abbiamo presentato tre nuovi studi
che, nell’insieme, costituivano già un piccolo aggiornamento. In precedenza
abbiamo riportato lo studio di Jessica Bernard che fa il punto delle conoscenze
sulle interazioni ippocampo-cerebellari e le considera anche in relazione
all’invecchiamento e al declino cognitivo legato all’età[5]. Ancor
prima, nel mese di febbraio, abbiamo visto come la struttura dell’encefalo
descritta quale organo per la prima volta da Vicq d’Azyr controlli direttamente
la sostanza nera o Substantia Nigra di Sömmering del mesencefalo,
agendo direttamente sulle popolazioni dopaminergiche connesse, regolando i
valori di ricompensa connessi col movimento[6]. Ci
siamo poi occupati dei nuovi meccanismi dei granuli cerebellari[7].
Abbiamo recensito anche uno studio su un ruolo del nucleo interposito: i
neuroni di questa formazione nucleare generano previsioni che ottimizzano
nel tempo e nella forma la riposta di un movimento condizionato[8].
Nell’apprendimento
cerebellare classico, le cellule di Purkinje (PkC)
associano i segnali di errore delle fibre rampicanti (CF) alle cellule
dei granuli (GrC)[9] predittive che sono attive subito prima (circa 150 ms). Il cervelletto
partecipa anche all’attuazione di comportamenti caratterizzati da una scala
temporale di maggiore durata. Martha G. Garcia-Garcia e colleghi coordinati da
Mark J. Wagner, per indagare come i circuiti GrC-CF-PkC possono apprendere previsioni della durata di secondi,
hanno rilevato immagini simultanee dell’attività GrC-CF
durante l’apprendimento condizionato con una ricompensa d’acqua ritardata. I
risultati dell’osservazione sperimentale sono molto significativi[10].
Dopo questi
studi, come abbiamo già ricordato, Ila Mishra
e colleghi hanno rilevato e dimostrato che le cellule di Purkinje del
cervelletto nel topo sono attivate dall’ormone asprosina,
e determinano un aumento della sete, ossia del desiderio di bere e
dell’esecuzione di atti di assunzione di liquidi”[11].
Continuano dunque a ritmo serrato i progressi nella
conoscenza della neurofisiologia di questa parte dell’encefalo, e noi, come in
occasioni precedenti[12], proponiamo
un’introduzione anatomo-funzionale per il lettore non specialista.
Il cervelletto
è quella parte dell’encefalo che occupa la fossa cranica posteriore ed è
presente in tutti i vertebrati con uno sviluppo proporzionato a quello del
cervello. Si presenta costituito da tre parti: una struttura mediana di minore
dimensione denominata verme cerebellare, corrispondente al cervelletto
primitivo presente anche nei più bassi vertebrati (paleocerebello), e
due espansioni laterali dette emisferi cerebellari. È situato nella
loggia cerebellare delimitata dal tentorio e si sviluppa sotto il
cervello, dietro il ponte, sopra il bulbo. Il suo diametro trasverso raggiunge
un massimo di dieci centimetri, mentre verticalmente supera raramente i cinque
centimetri per un peso complessivo medio di 140 g, ossia l’ottava parte del
peso del cervello. I solchi del cervelletto consentono di ripartirlo in tre
lobi e numerosi lobuli, accuratamente descritti dagli antichi anatomisti
secondo criteri che non hanno trovato riscontro fisiologico o utilità clinica.
Il fascino esercitato sugli antichi morfologi dalla
struttura corticale cerebellare costituita da innumerevoli lamelle è stato
superiore a quello dell’organizzazione in rami e ramoscelli diretti ai lobuli
della sostanza bianca del centro midollare o tronco, cui diedero il suggestivo
nome di albero della vita. Contrariamente a quanto creduto da alcuni
studiosi contemporanei di storia della medicina, questa denominazione non trae
affatto origine dall’erronea attribuzione al cervelletto di un ruolo vitale
nella fisiologia dell’organismo, ma dall’analogia morfologica con la tuia
(Thuja, L. 1753), una pianta arborea sempreverde
delle Cupressaceae che presenta, al posto di foglie larghe, verdi
diramazioni e sotto-diramazioni multiple costituite da minuscole scagliette
foliacee[13]. A
differenza del cervello, in cui la sostanza bianca ha un’enorme espansione
indipendente con le sue strutture interemisferiche e il centro ovale di
Vieussens, entrando solo perifericamente nella costituzione dei giri corticali,
nel cervelletto l’aggregato pirenoforico corticale segue come un rivestimento
tutte le diramazioni della sostanza bianca che, nell’aspetto morfologico
macroscopico delle sezioni dell’organo, appare come un semplice complemento
della preponderante struttura grigia.
La corteccia del cervelletto ha lo spessore
di un millimetro o un millimetro e mezzo, e al taglio rivela due zone di
aspetto differente: 1) uno strato esterno o superficiale di colore
grigio pallido; 2) uno strato interno o profondo dal colorito tendente
al fulvo rossastro, che giustifica la definizione di strato rugginoso.
L’esame microscopico della corteccia cerebellare
consente di distinguere uno strato esterno o molecolare, che costituisce
circa la metà dell’intera struttura e presenta abbondanza di fibre e scarsità
di cellule, e uno strato interno o granuloso caratterizzato da numerosissime
cellule.
Fra queste due lamine di tessuto grigio si interpone
uno strato intermedio o zona mediana, sottile ma caratterizzata da una
fila di neuroni esclusivi del cervelletto e dalla morfologia inconfondibile: le
cellule di Purkinje.
Le cellule di Purkinje sono disposte a
formare una fila abbastanza regolare, anche se a tratti si notano lievi
irregolarità, perché alcuni di questi neuroni inibitori GABAergici sono
dislocati verso la superficie esterna della corteccia, non in linea con la
maggioranza, tanto da meritarsi il nome di “cellule spostate”, con il quale
erano state descritte da Santiago Ramon y Cajal. Le cellule di Purkinje sono
piriformi, con l’asse maggiore di 50-60 micron e una larghezza non superiore ai
25-30 micron, e presentano al polo superiore, rivolto verso la superficie
esterna della corteccia, un tronco dendritico di grande calibro che si divide
presto in grosse diramazioni principali, dalle quali originano, con una
morfologia che ricorda un po’ quella dei rami della quercia, diramazioni
secondarie e terziarie, che penetrano nello strato molecolare. L’espansione a
ventaglio si risolve in una “lussureggiante arborizzazione che si può seguire
fino alla superficie piale”[14], secondo
la descrizione classica. Sui rami si possono osservare le numerosissime spine
dendritiche, che in questi neuroni sono state accuratamente studiate
nell’ultrastruttura al microscopio elettronico. È interessante la disposizione
della fitta arborizzazione dendritica delle cellule di Purkinje, che
Obersteiner paragonò a una pianta di vivaio fatta sviluppare intorno a un
“sostegno a spalliera”, da cui la denominazione di spalliera dendritica
che si adotta attualmente. Questa struttura è infatti disposta su un piano
ortogonale rispetto a quello principale della lamella della corteccia del
cervelletto, per cui si dice che l’arborizzazione a spalliera “si espande per
traverso alla lamella”[15].
Dal polo opposto o interno della cellula di Purkinje
origina il neurite che diventa cilindrasse, ossia assone rivestito di mielina[16],
presentando la caratteristica di un diametro inferiore a quello del tronco dendritico,
all’opposto di quanto accade per la maggior parte dei neuroni. Dopo un tratto
più o meno breve, l’assone emette rami collaterali, alcuni dei quali terminano
nello strato granuloso mentre altri risalgono come collaterali retrogradi
fino al molecolare dove assumono decorso orizzontale e terminano circondando
con una terminazione anulare il tronco dendritico della stessa cellula, di
un’altra o di numerose altre cellule di Purkinje, realizzando un controllo
inibitorio retrogrado dell’input che arriva dalle sinapsi formate dalle
spine della spalliera dendritica con i neuriti dei neuroni che compongono la
citoarchitettonica corticale. Dopo aver emesso i collaterali, proseguendo il
suo percorso, il neurite entra con la miriade di altri cilindrassi omologhi
nella sostanza midollare, dove costituisce la connessione diretta ai nuclei
centrali del cervelletto, ossia la via cortico-nucleare cerebellare.
In estrema sintesi la struttura della corteccia
cerebellare può essere schematizzata come segue.
1) Lo strato
molecolare, esterno, caratterizzato dalla cellula dei canestri:
contiene ramificazioni dendritiche delle cellule di Purkinje, le fibre
rampicanti e i rami orizzontali dei neuriti dei granuli, che costituiscono
la maggioranza delle fibre di questo strato.
2) Lo strato
granuloso, interno, caratterizzato dal tipo neuronico del granulo e
dai caratteristici glomeruli cerebellari nei quali si incontrano le fibre
muscoidi e i dendriti dei granuli. Tutto lo spessore è attraversato da fibre
muscoidi e fibre rampicanti, come da tutte le altre fibre afferenti,
e contiene il corpo delle cellule a pennacchio, particolari elementi
della glia descritti per la prima volta da Cajal.
3) Lo strato
intermedio delle cellule di Purkinje attualmente descritto come parte dello
strato molecolare, che è stato considerato in passato l’elemento base
del cervelletto. Infatti, alle singole cellule di Purkinje, che ricevono
segnali dalle fibre rampicanti direttamente e dalle fibre muscoidi
indirettamente per interposizione dei granuli, e forniscono l’unico output
dalla corteccia, è stato dato il nome di “cervelletto istologico”.
La corteccia del cervelletto è la
regione dell’encefalo in cui è stata stabilita con maggiore precisione la
correlazione fra anatomia e fisiologia, e l’affascinante ricerca che ha portato
alla definizione della sua architettura cellulare ha avuto inizio nel 1888 con
gli studi realizzati da Santiago Ramòn y Cajal, usando il metodo
dell’impregnazione argentica di Camillo Golgi, ed è proseguita nel secolo
successivo grazie soprattutto alle osservazioni di sir John C. Eccles e
collaboratori. Dalla scuola di Eccles proveniva Rodolfo R. Llinas, che nel 1975
integrò il suo contributo sperimentale in una sintesi schematica e concettuale
resa in una iconografia ancora oggi adoperata per illustrare la disposizione
nelle tre dimensioni dello spazio degli elementi che formano i circuiti della
corteccia cerebellare[17].
Con questi studi classici fu
anche definita la natura delle fibre muscoidi e delle fibre
rampicanti. Entrambi i tipi di assoni sono eccitatori, ma obbediscono a
criteri funzionali differenti e sostanzialmente opposti.
Le fibre rampicanti
provengono da formazioni distanti, come il nucleo olivare inferiore, e ciascuna
si dirige verso la cellula di Purkinje che costituisce il suo specifico
bersaglio fin dallo sviluppo embrionario e sulla quale forma anche più di 300
sinapsi: la scarica della fibra rampicante è estremamente violenta e fa
scomparire ogni attività del neurone di Purkinje, come fu dimostrato già nel
1964 da Eccles, Sasaki e Llinas.
Le fibre muscoidi, al
contrario, eccitano numerose cellule di Purkinje, formando solo poche sinapsi
su ciascuna di esse, e le raggiungono sempre con l’intermediazione dei piccoli
interneuroni detti granuli.
Una descrizione anche sintetica
dell’organizzazione funzionale della corteccia del cervelletto richiederebbe
uno spazio di dimensioni sproporzionate in rapporto al testo e all’oggetto
dell’articolo, per cui si rimanda alle trattazioni di neuroanatomia funzionale,
corredate da immagini che consentono la comprensione dei rapporti reciproci fra
cellule e dell’organizzazione spaziale di questi sistemi neuronici[18].
All’interno della struttura del cervelletto le lamine
midollari confluiscono formando una massa di sostanza bianca centrale che contiene
i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso, emboliforme
e nucleo del tetto.
Il nucleo dentato è il più grande e laterale
dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente ripiegata,
che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni e dendriti
dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30 micron). La
sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura rivolta in
direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che contribuisce alla
costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo globoso (o n. posteriore interposto)
è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo con il nucleo del tetto.
Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme le fibre dei suoi neuroni
entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare superiore.
Il nucleo emboliforme (o n. anteriore
interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il
nucleo dentato.
Il nucleo del tetto è localizzato in prossimità
della linea mediana, al margine del tetto del quarto ventricolo. I neuroni di
questo nucleo sono prevalentemente di grandi dimensioni (40-70 micron) e una
gran parte dei loro assoni incrocia nella sostanza bianca della commessura
cerebellare[19]. Dopo la loro decussazione,
costituiscono il fascicolo uncinato che passa dorsalmente al peduncolo
cerebellare superiore per giungere al nucleo vestibolare del lato
opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo vestibolare
omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare
superiore[20].
La sperimentazione recente
ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato un ruolo
del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando il
circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento
sociale.
I nuclei del cervelletto
possono essere definiti sub-strutture che trasferiscono informazioni elaborate
nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo. Un elemento
caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della connessione di
questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo frontale[21].
Ritorniamo allo studio di Yini
Chen che ha indagato mediante modelli basati sulla radiomica la partecipazione
cerebellare alla patologia neurodegenerativa della malattia di Parkinson.
I ricercatori hanno preso le mosse da un’analisi
retrospettiva condotta utilizzando dati MRI tridimensionali pesati in T1 (n =
374) del dataset PPMI (Parkinson’s Progression Markers Initiative)
(n = 204) e di una coorte indipendente in-house (n = 170). Gli elementi radiomici (883) sono stati estratti dalla materia grigia e
dalla sostanza bianca cerebellare di ciascun individuo.
Sono stati sviluppati 3 modelli di machine learning:
1) modello della materia grigia cerebellare; 2) modello della sostanza bianca
cerebellare; 3) modello combinato dei due precedenti.
Per lo sviluppo matematico dei calcoli con i tre
modelli si rinvia alla lettura del testo integrale dell’articolo originale.
In conclusione, le evidenze emerse dimostrano che la
radiomica MRI della materia grigia e della sostanza bianca cerebellare può
efficacemente ed efficientemente distinguere i pazienti affetti da malattia di
Parkinson dalle persone non affette, e supporta l’ipotesi di un ruolo di assoluto
rilievo del cervelletto nella patologia neurodegenerativa parkinsoniana. Gli
autori dello studio evidenziano il possibile impiego della radiomica
cerebellare come imaging biomarker per la diagnosi.
L’autore della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e invita alla lettura delle
recensioni di
argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito
(utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-22 febbraio 2025
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of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] La degenerazione dei neuroni della
parte compatta della sostanza nera determina alterazioni della via diretta
fronto-nigro-striatale dopaminica D1 – GABAergica.
[2] Note e Notizie 05-10-24
Atlante gerarchico del cervelletto umano.
[3] Note e Notizie 21-09-24 Il
cervelletto regola la sete.
[4] Note e Notizie 22-06-24
Granuli-fibre rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[5] Note e Notizie 09-03-24 La
nuova via cervelletto-ippocampo.
[6] Note e Notizie 03-02-24 Il
Cervelletto modula direttamente sostanza nera e ricompensa.
[7] Note e Notizie 17-02-24 Nuovi
meccanismi dei granuli del cervelletto.
[8] Note e Notizie 02-03-24 Un
ruolo del nucleo interposito del cervelletto.
[9] Si veda sui granuli la già
citata recensione Note e Notizie 17-02-24 Nuovi meccanismi dei granuli del
cervelletto.
[10] Note e Notizie 22-06-24
Granuli-fibre rampicanti cerebellari per tracciare gli intervalli.
[11] Note e Notizie 21-09-24 Il
cervelletto regola la sete.
[12] Note e Notizie 11-05-24 Tre
nuovi studi sul cervelletto.
[13] Il nome greco θυία vuol dire “cedro” ed è stato dato
per l’odore emanato dal legno di questa pianta. Originaria di Cina, Giappone,
Alaska e regione dei grandi laghi del Nord America, in latino era detta Arbor
vitae; come vuole la legge linguistica del “conservatorismo della
periferia”, in America si è mantenuta la forma latina abbandonata in Europa ed
è ancora chiamata arborvitae. L’origine della
denominazione della sostanza bianca cerebellare è riportata nel Trattato di
Anatomia Umana di Testut e Latarjet (vol. III, p. 241, UTET, Torino 1974 e
seguenti ristampe), nel quale la translitterazione dal greco è resa con thuya.
[14] Testut e Latarjet, op. cit.,
vol. III, p. 242.
[15] Testut e Latarjet, op. cit., ibidem.
[16] Ricordiamo che fu Purkinje, lo
scopritore di queste cellule, che introdusse il termine “cilindrasse” per
denominare l’assone rivestito da mielina nel sistema nervoso centrale e
distinguerlo dai neuriti delle fibre amieliniche.
[17] Llinas R. R., La corteccia del
cervelletto. Le Scienze 81, maggio 1975, ristampato in Il Cervello –
organizzazione e funzioni (a cura di Angelo Majorana), pp. 120-131, Le
Scienze Editore, Milano 1978.
[18] Note e Notizie 26-09-20 La
corteccia del cervelletto umano è sorprendente.
[19] È interessante notare che non si
tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso,
ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano
commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea
mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.
[20] Note e Notizie 23-01-21
Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive.
[21] Questo richiamo sintetico
all’anatomia cerebellare si trova anche in Note
e Notizie 15-10-22 Il cervelletto nella memoria emozionale, in cui si recensisce un interessante studio di Matthias Fastenrath e
colleghi.